Se c’è una cosa che accomuna i grandi della letteratura italiana, oltre alla penna affilata e all’ingegno fulminante, è quell’aroma inconfondibile che aleggia tra le pagine dei loro manoscritti: il profumo del sigaro Toscano. Un’affinità elettiva, si potrebbe dire, tra le menti più brillanti del Belpaese e questo cilindro di tabacco Kentucky, ruvido e schietto come una battuta in vernacolo fiorentino.
Immaginate Gabriele D’Annunzio, il Vate, l’esteta per eccellenza, che tra un verso e l’altro del “Piacere”, si concede una boccata di Toscano. Ironia della sorte, lui, così attento alla forma, così ricercato nel lessico, trovava il suo nirvana in questo sigaro “plebeo”, come per ricordarci che la vera eleganza sta nel saper mescolare l’alto e il basso. D’Annunzio, si dice, amava talmente il Toscano da dedicargli versi che farebbe arrossire persino un tabaccaio di lungo corso.
E che dire di Giovanni Pascoli? Il poeta delle “Myricae”, colui che cantava la semplicità della vita agreste, non poteva che innamorarsi del Toscano. Si narra che ne tenesse sempre uno a portata di mano, come un talismano contro il blocco dello scrittore. Forse è per questo che le sue poesie hanno quel sapore di terra e di autenticità: erano letteralmente “fumate” con la stessa passione con cui un contadino toscano accende il suo sigaro dopo una giornata nei campi.
Ma il vero sacerdote del culto del Toscano fu, senza dubbio, Carlo Cassola. Lo scrittore volterrano fece del sigaro un vero e proprio personaggio dei suoi romanzi. In “La ragazza di Bube”, il Toscano diventa quasi un Virgilio dantesco, guidando i protagonisti attraverso le peripezie della trama. Cassola amava il suo Toscano come un toscano ama la bistecca alla fiorentina: senza compromessi e con una devozione quasi religiosa.
Non possiamo dimenticare Indro Montanelli, il grande giornalista che fece della penna una spada e del Toscano il suo scudo. Si dice che Montanelli misurasse il tempo in “unità Toscano”: un editoriale equivaleva a due sigari, un’intervista a uno e mezzo. La sua prosa tagliente e diretta aveva lo stesso aroma intenso e deciso del suo amato sigaro. Non è un caso che molti suoi colleghi, entrando nella redazione del “Giornale”, sapessero di trovarlo avvolto in una nuvola di fumo, come un oracolo pronto a dispensare verità scomode e battute al vetriolo.
E come dimenticare Mario Soldati? Lo scrittore e regista torinese, pur non essendo toscano di nascita, abbracciò il Toscano come se fosse nato all’ombra del Cupolone. Per lui, il sigaro era un compagno di viaggio indispensabile nei suoi tour enogastronomici. Si può quasi immaginarlo, seduto in una piccola trattoria di campagna, mentre alterna boccate di sigaro a sorsi di Chianti, scrivendo note per il suo prossimo romanzo su un tovagliolo di carta.
Anche Curzio Malaparte, con il suo spirito caustico e la sua penna intinta nel fiele, trovava nel Toscano un degno compare. Si narra che durante la stesura di “La pelle”, Malaparte consumasse sigari con la stessa voracità con cui denudava l’animo umano nelle sue pagine. Il Toscano, per lui, era come un bisturi letterario, uno strumento per incidere la realtà e metterne a nudo le contraddizioni.
E che dire di quel genio istrionico di Carmelo Bene? L’attore e regista, noto per le sue performance provocatorie e il suo approccio iconoclasta al teatro, faceva del Toscano un vero e proprio props scenico. Nelle sue mani, il sigaro diventava un’estensione del suo corpo, un amplificatore dei suoi gesti teatrali, un modo per sottolineare la sua prosa incendiaria come solo la brace di un buon Toscano sa fare.
Persino Oriana Fallaci, la “giornalista del secolo”, non disdegnava un buon Toscano. Per lei, fumare un sigaro era un atto di ribellione, un modo per affermare la sua indipendenza in un mondo dominato dagli uomini. Si può quasi vederla, con un Toscano tra le dita, mentre scrive le sue interviste infuocate, soffiando il fumo in faccia alle convenzioni e al politicamente corretto.
In fondo, il legame tra questi grandi della letteratura italiana e il sigaro Toscano è più profondo di quanto si possa pensare. Come il Toscano, questi autori erano schietti, a volte ruvidi, ma sempre autentici. Sapevano essere eleganti senza perdere il contatto con la terra, proprio come quel sigaro che nasce dal Kentucky toscano e finisce tra le mani dei più raffinati intellettuali.
E allora, cari lettori, la prossima volta che vi capiterà tra le mani un libro di uno di questi grandi, fate una cosa: accendete un Toscano. Chiudete gli occhi e fate un tiro profondo. In quella voluta di fumo, forse, riuscirete a cogliere l’essenza stessa della grande letteratura italiana: un mix irresistibile di genio, follia e quel pizzico di toscana irriverenza che non guasta mai.
Perché, come diceva un vecchio toscano saggio (o forse era solo un tabaccaio particolarmente loquace): “La vita è come un sigaro Toscano: corta, intensa e lascia sempre un buon sapore in bocca… a patto che tu sappia come fumarlo!”