Marcello Diotallevi è un’artista per il quale il tempo e l’attesa sono condizioni dell’animo irrinunciabili più che aspetti della realtà quotidiana. Un flâneur, insomma, insieme al suo inseparabile sigaro e a quell’ironia che è il suo forte. L’appuntamento è nel pomeriggio. Mi accoglie, giustamente, in veste da camera, finiamo in cucina perché il salottino è… impraticabile!
Come mai in questa zona signorile, vicino all’ospedale?
“Un giorno mi sono addormentato qui sul prato, perché prima c’era un prato, e quando mi sono svegliato mi avevano costruito la casa intorno. Io sono di Fano, ma la mia formazione è romana. Se non fosse stato un periodo di guerra sarei nato a Roma. Nel 1942 mio padre disse a mia madre: vai a partorire a Fano, dai miei genitori, è più tranquilla. Aveva ragione da vendere. Quindi sono un fanese per motivi bellici”.
Poteva stare a Roma, perché allora è capitato a Fano?
“Venivo in vacanza al mare tutti gli anni. Poi ho conosciuto una ragazza che è diventata mia moglie e a quel punto, siccome in quel periodo facevo il restauratore in Vaticano per Paolo VI al laboratorio di restauri, e siccome il Vaticano non aveva succursali di questo tipo, ho dovuto scegliere tra Fano e Roma. È andata bene così e non recrimino nulla. A quel punto ho fatto la mia professione di artista”.
Con una casa, immagino, frequentata da tanta gente…
“Diciamo che ho avuto il piacere di ospitare gente come la poetessa Amelia Rosselli, il critico d’arte Marcello Venturoli, gli scrittori Paolo Volponi e Luciano Anselmi. Ma l’incontro più eclatante è avvenuto nel mio studio, negli anni ‘80, quando alcuni impiegati del Comune mi portarono il più grande poeta russo di allora, Evgenij Evtusenko, venuto a Fano a presentare il suo libro di poesie d’amore. Me ne lasciò una copia e il suo indirizzo a Mosca. Lo conoscevo bene senza conoscerlo, perché a Roma quando uscirono i suoi primi versi, fine anni ‘50, mi ricordo un titolo di una sua raccolta e glielo dissi. Lui si meravigliò che la conoscessi. Era ’La stazione di Zimà’ (ripresa in una canzone da Vecchioni, ndr), il paese in cui era nato in Siberia. Fu estasiante”.
Qual è la cosa più preziosa che conserva?
“Ci devo pensare, la memoria di un ottantenne è molto più brillante di quella di un ventenne, ma richiede tempi un pochino più lunghi. Sarebbero centinaia, ma sintetizzando direi un’opera che tra l’altro non è una mia opera. Lì sta la meraviglia. In realtà è un ’furto’, tra virgolette, che io feci in Vaticano quando il mio predecessore aveva fatto i lucidi dei mosaici di Santa Maria Maggiore: presi un lucido e lo riprodussi esattamente come si trova nella chiesa di S. Maria Maggiore. L’opera l’ho eseguita io, ma non è mia”.
E quella di valore?
“Direi allora le mie opere. Il mio hobby e il lavoro. Job and hobby. Un mio amico webnauta, che naviga su internet cioè, mi disse di aver visto un mio libro d’artista a New York in vendita a 480 dollari, lo stesso che era stato rifiutato da una gallerista italiana. Però io non c’entro più, questa copia l’hanno valutata gli altri”.
Come si definirebbe?
“Nelle arti visive appartengo a quella tendenza artistica chiamata poesia visuale, dove convergono pittura e scrittura, però a 80 anni ho pubblicato il mio primo libro di poesia lineare, che riguarda cioè una dimensione solo letteraria”.
Complimenti!
“Il libro dall’insolente titolo ’Versi inconfutabili’, in inglese con testo italiano a fronte, dell’editore Mr Wabe di Papua Nuova Guinea ora che è stato pubblicato non mi riguarda più, seguirà il suo destino. Parlarne sarebbe pleonastico, i libri non si raccontano, si leggono, anche perché ciascuno li legge a modo suo. Quando l’ho scritto – la raccolta copre un arco temporale di mezzo secolo – a due cose non ho mai pensato: ai lettori e al mercato. Ho scritto in totale libertà e soltanto ciò che amavo raccontare. Al testo, al di là delle imperfezioni che può avere, due virtù di certo non mancano: l’onestà e, come suggerisce il titolo, l’indiscutibilità”.
Altre soddisfazioni?
“Una vecchia: nell’81 l’editore Hazan di Parigi (specializzata in libri d’arte dal 1946, ndr) volle una mia opera per la copertina di un libro sul Beaubourg stampato in milioni di copie, di recente Thames & Hudson di Londra ha pubblicato a tutta pagina un mio lavoro tratto da ’Lettere da Cittera’, che sono dei nudi femminili battuti a macchina, e me l’ha recapitato come regalo di Natale”.
Mostre?
“Sono sazio. A dicembre espongo un mio libro alla Biblioteca Braidense di Brera (MI), poi a Madrid, a Napoli. Il fatto di pubblicare in inglese dal ‘61 è stata una felice intuizione: i miei libri d’artista sono al Getty Museum e al Moma”.
(fonte: https://www.ilrestodelcarlino.it/fano/cronaca/un-sigaro-in-bocca-e-lanimo-del-flaneur-1.7067133)
(la foto è di https://www.lobodilattice.com/art/content/personale-marcello%C2%A0%C2%A0-diotallevi-%E2%80%9C-forma-viaggio-francobolli-e-lettere-citera)